Le specie aliene costano al Pianeta 423 miliardi di dollari all’anno

Il “Rapporto di valutazione sulle specie esotiche invasive e il loro controllo” dell’Ipbes rivela che, oltre ai drammatici danni per la biodiversità e gli ecosistemi, il costo economico globale si è almeno quadruplicato ogni decennio dal 1970

fonte: Repubblica – green and blue

Le specie invasive hanno per l’economia globale un costo di 423 miliardi di dollari all’anno. È uno tra i tanti dati significativi del nuovo importante rapporto della Piattaforma Intergovernativa sulla Biodiversità e Servizi Ecosistemici (IPBES), pubblicato oggi. Approvato sabato a Bonn, in Germania, dai rappresentanti dei 143 Stati membri dell’IPBES, il “Rapporto di valutazione sulle specie esotiche invasive e il loro controllo” rileva che, oltre ai drammatici danni per la biodiversità e gli ecosistemi, il costo economico globale si è almeno quadruplicato ogni decennio dal 1970.

Tra gli esperti che hanno lavorato al rapporto anche l’italiano Piero Genovesi, Responsabile del Servizio per il coordinamento della fauna selvatica dell’Ispra, che ha avuto il ruolo di revisore del capitolo di riepilogo per i decisori politici. Spiega Genovesi: “Il rapporto è il compendio di uno studio durato 4 anni e una discussione approfondita tra 86 ricercatori da 49 Paesi, che parlavano 15 lingue, e hanno esaminato oltre 13mila fonti tra articoli e rapporti di comunità locali. È un importante documento che sarà indispensabile anche per i lavori della Cop28 di Dubai”.

I punti salienti del Rapporto indicano che:

  • Più di 37.000 specie esotiche sono state introdotte da molte attività umane in regioni e biomi di tutto il mondo. Questa stima è ora in aumento a tassi senza precedenti
  • Le specie esotiche invasive rappresentano una grave minaccia globale per la natura, economie, sicurezza alimentare e salute umana
  • Hanno un ruolo chiave nel 60% delle estinzioni globali di piante e animali
  • costi annuali sono ora superiori a 423 miliardi di dollari e sono quadruplicati in ogni decennio dal 1970
  • La grave minaccia globale rappresentata dalle specie esotiche invasive è sottovalutata, sottostimata e spesso misconosciuta
  • Ci sono prove, strumenti e opzioni per aiutare i governi a raggiungere un nuovo ambizioso obiettivo globale sulle specie aliene invasive

Nel 2019, il Rapporto di Valutazione Globale dell’IPBES aveva già rilevato che le specie esotiche invasive sono una delle cinque più importanti cause dirette della perdita di biodiversità, insieme ai cambiamenti nell’uso del suolo e del mare, allo sfruttamento diretto delle specie, ai cambiamenti climatici e all’inquinamento. Sulla base di questa constatazione, i governi avevano incaricato l’IPBES di fornire le migliori prove disponibili e le opzioni politiche per affrontare le sfide delle invasioni biologiche, contenute ora, appunto, nel Rapporto reso noto oggi.

“I dati raccolti dagli esperti sono stati oggetto di discussione approfondita – sottolinea Genovesi –  e così come è stato indicato anche nella Cop15 sulla biodiversità dello scorso dicembre a Montreal, un ampio spazio è stato dato ai rapporti delle comunità locali, valutando informazioni non pubblicate e non tradizionali. Tutto conferma che le specie invasive sono un fenomeno diffuso e pericoloso, una grave minaccia per la biodiversità e possono causare danni irreversibili alla natura, tra cui estinzioni di specie a livello locale e globale, oltre a minacciare la salute e il benessere umani”.

La differenza tra specie aliene e specie invasive

Gli autori del rapporto sottolineano che non tutte le specie aliene diventano invasive:  le specie aliene invasive sono il sottoinsieme delle specie esotiche di cui si conosce l’insediamento e la diffusione, che causano impatti negativi sulla natura e spesso anche sulle persone. Circa il 6% delle piante esotiche, il 22% degli invertebrati alieni, il 22% degli invertebrati alieni, il 14% dei vertebrati alieni e l’11% dei microbi alieni sono noti per essere invasivi e comportare gravi rischi per la natura e per le persone.

“Le persone che hanno una maggiore dipendenza diretta dalla natura, come le popolazioni indigene e le comunità locali, sono ancora più a rischio – osserva Genovesi – più di 2.300 specie esotiche invasive sono presenti nelle terre sotto la tutela delle popolazioni indigene e minacciano la loro qualità di vita e persino le loro comunità locali, perché nel 66% dei casi viene colpita la loro disponibilità di cibo.

Uno tra gli esempi riportati durante la discussione riguarda i fichi d’india, che nelle nostre regioni del Sud sono ormai una presenza costante. In Africa orientale la loro diffusione ha effetti disastrosi sulle aree dei pascoli, dove soprattutto donne e bambini cercano di estirparlo senza utensili adatti, procurandosi gravissime ferite. Il contributo dato dalle popolazioni indigene al rapporto è stato fondamentale: se molte specie aliene hanno alcuni positivi, per molte comunità indigene gli effetti sono negativi al 92%”.

Effetti aumentati da cambio climatico e globalizzazione

Il cambio climatico e la globalizzazione hanno dato impulso alla diffusione di specie invasive. “Un impatto già devastante di per sé sulle specie autoctone e sugli ecosistemi è diventato ancora più drammatico per le sinergie con altri meccanismi come il riscaldamento globale e la modificazione degli habitat – dice l’esperto dell’Ispra – Anche in questo caso c’è un esempio recente: la devastazione degli incendi alle Hawai è stata provocata anche dallla presenza di molte erbe esotiche per le isole, facilmente infiammabili. La globalizzazione dell’economia ha poi fatto sì che il fenomeno si ampliasse negli ultimi due secoli, con l’aumento dei trasporti commerciali. I dati indicano che nel 2050 aumenterà ancora di un terzo”.

“Tutto ciò ha un enorme costo – rimarca Genovesi – che quadruplica ogni decennio, perché così come aumentano le invasioni accelerano i costi. In questo bilancio di 423 miliardi di dollari all’anno bisogna sottolineare che il 92% sono costi diretti e soltanto 8% le spese per arginarli”.

Le politiche per arginare il fenomeno

“Il rapporto serve proprio a fornire un quadro dettagliato del problema delle specie invasive e indicare le politiche necessarie ad arginarlo – dice Genovesi – Sebbene si tratti di un fenomeno con un impatto spaventoso, se davvero si impiegassero le risorse adatte sarebbe possibile tenerlo sotto controllo. Anche qui basta un esempio: il granchio blu è stato individuato nel Mediterraneo per la prima volta nel 1948 e se in questi 60 anni si fosse fatto qualcosa non ci troveremmo nella situazione attuale. I nostri governi devono capire che bisogna investire nella prevenzione, come si fa sulla salute, perché è appunto anche un problema di salute”.

Gli esperti dell’IPBES sottolineano, infatti, l’insufficienza delle misure adottate per affrontare queste sfide: mentre l’80% dei Paesi ha obiettivi relativi alla gestione delle specie esotiche invasive nei piani nazionali per la biodiversità, solo il 17% ha leggi o regolamenti nazionali che affrontano specificamente questi problemi e il 45% dei Paesi non investe nella gestione delle invasioni biologiche. La buona notizia è però che le future invasioni biologiche, le specie esotiche invasive e i loro impatti possono essere prevenuti attraverso una gestione efficace e approcci più integrati.

Per quasi tutti i contesti e le situazioni, esistono strumenti di gestione, opzioni di governance e azioni mirate che funzionano davvero – sottolinea l’esperto – Le misure di prevenzione, come la biosicurezza alle frontiere e i controlli rigorosi sulle importazioni, in molti casi hanno funzionato. Uno dei messaggi più importanti del rapporto è appunto che i progressi ambiziosi nell’affrontare le specie aliene invasive sono realizzabili con un approccio integrato e specifico per il contesto.

Serve anche maggiore informazione: “La scarsa consapevolezza è un grave problema – conclude Genovesi – L’Eurobarometro indica le specie invasive come la minaccia meno conosciuta dagli europei, per questo speriamo che questo studio serva a portare attenzione sul fatto che i nostri comportamenti possono influire molto sulla diffusione o sulla diminuzione del fenomeno. Ci sono molte specie esotiche che non hanno un grande impatto, ma non si tratta di fermare la circolazione di merci o attività ma di prevenire e disciplinare”.

fonte: Repubblica – green and blue